sabato 30 luglio 2011

Pegli. 29 luglio 2011. Occhi. Lago di Nuvole. Foto di Giovanni Pititto.


06. MAESTRALE
S'è rifatta la calma    
nell'aria: tra gli scogli parlotta la maretta.
Sulla costa quietata, nei broli, qualche palma
a pena svetta.

Una carezza disfiora
la linea del mare e la scompiglia
un attimo, soffio lieve che vi s'infrange e ancora
il cammino ripiglia.

Lameggia nella chiaria
la vasta distesa, s'increspa, indi si spiana beata
e specchia nel suo cuore vasto codesta povera mia
vita turbata.

O mio tronco che additi,
in questa ebrietudine tarda,
ogni rinato aspetto coi germogli fioriti
sulle tue mani, guarda:

sotto l'azzurro fitto
del cielo qualche uccello di mare se ne va;
né sosta mai: perché tutte le immagini portano scritto:
"più in là"! //
(in: Eugenio Montale, Ossi di Seppia <e altri scritti>, Verona, Mondadori, XV Ediz., 1969, pp. 117-8).
 

(Eugenio Montale, Meriggi e Ombre. I. Agave su lo Scoglio - Maestrale, 
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Pegli. 29 luglio 2011. Occhi. Lago di Nuvole. 01.


07. SARCOFAGHI.
I.
Dove se ne vanno le ricciute donzelle /
che recano le colme anfore su le spalle /
ed hanno il fermo passo sì leggero; /
e in fondo uno sbocco di valle /
invano attende le belle /
cui adombra una pergola di vigna /
e i grappoli ne pendono oscillando. /
***
[p. 38] Il sole che va in alto, /
le intraviste pendici /
non han tinte: nel blando /
minuto la natura fulminata /
atteggia le felici /
sue creature, madre non matrigna, /
in levità di forme. /
Mondo che dorme o mondo che si gloria /
d'immutata esistenza, chi può dire?, /
uomo che passi, e tu dagli /
il meglio ramicello del tuo orto. /
Poi segui: in questa valle /
non è vicenda di buio e di luce. /
Lungi di qui la tua via ti conduce, /
non c'è asilo per te, sei troppo morto: /
seguita il giro delle tue stelle. /
E dunque addio, infanti ricciutelle, /
portate le colme anfore su le spalle. //
(Eugenio Montale, Sarcofaghi - I., Id., pp. 35-8).  


Pegli. 29 luglio 2011. Occhi. Lago di Nuvole. 02.

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08. SARCOFAGHI.
II.
Ora sia il tuo passo /
piú cauto: a un tiro di sasso /
di qui ti si prepara /
una più rara scena. /
La porta corrosa d'un tempietto /
è rinchiusa per sempre. /
Una grande luce è diffusa /
sull'erbosa soglia. /

***
E qui dove peste umane /
non suoneranno, o fittizia doglia, /
vigila steso al suolo un magro cane. /
Mai piú si muoverà /
in quest'ora che s'indovina afosa. /
Sopra il tetto s'affaccia /
una nuvola grandiosa. //

(Eugenio Montale, Sarcofaghi - II., Id., p. 39-40). 
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Pegli. 29 luglio 2011. Occhi. Lago di Nuvole. 03.

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09. SARCOFAGHI.
III.
Il fuoco che scoppietta /
nel caminetto verdeggia /
e un'aria oscura grava /
sopra un mondo indeciso. Un vecchio stanco /
dorme accanto a un alare /
il sonno dell'abbandonato. /

***
[p. 42] In questa luce abissale /
che finge il bronzo, non ti svegliare /
addormentato! E tu camminante /
procedi piano; ma prima /
un ramo aggiungi alla fiamma /
del focolare e una pigna /
matura alla cesta gettata /
nel canto: ne cadono a terra /
le provvigioni serbate /
pel viaggio finale. //

(Eugenio Montale, Sarcofaghi - III., Id., p. 41-2). 
Pegli. 29 luglio 2011. Occhi. Lago di Nuvole. 04.

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10. SARCOFAGHI.
IV.
Ma dove cercare la tomba /
dell'amico fedele e dell'amante; /
quella dei mendicante e del fanciullo; /
dove trovare un asilo /
per codesti che accolgono la brace /
dell'originale fiammata; /
oh da un segnale di pace lieve come un trastullo /
l'urna ne sia effigiata! /

***
[p. 44] Lascia la taciturna folla di pietra /
per le derelitte lastre /
ch'ànno talora inciso /
il simbolo che più turba /
poiché il pianto ed il riso /
parimenti ne sgorgano, gemelli. /
Lo guarda il triste artiere che al lavoro si reca /
e già gli batte ai polsi una volontà cieca. /
Tra quelle cerca un fregio primordiale /
che sappia pel ricordo che ne avanza /
trarre l'anima rude /
per vie di dolci esigli: /
un nulla, un girasole che si schiude /
ed intorno una danza di conigli... //

(Eugenio Montale, Sarcofaghi - IV., Id., p. 43-4). 
Pegli. 29 luglio 2011. Occhi. Lago di Nuvole. 05.

11.  FUSCELLO TESO DAL MURO
Fuscello teso dal muro
sì come l'indice d'una
meridiana che scande la carriera
del sole e la mia, breve;
in una additi i crepuscoli
e alleghi sul tonaco
che imbeve la luce d'accesi
riflessi - e t'attedia la ruota
che in ombra sul piano dispieghi,
t'è noja infinita la volta
che stacca da te una smarrita
sembianza come di fumo
e grava con l'infittita
sua cupola mai dissolta.

Ma tu non adombri stamane
più il tuo sostegno ed un velo
che nella notte hai strappato
a un'orda invisibile pende
dalla tua cima e risplende
ai primi raggi. Laggiù,
dove la piana si scopre
del mare, un trealberi carico
di ciurma e di preda reclina
il bordo a uno spiro, e via scivola.
Chi è in alto e s'affaccia s'avvede
che brilla la tolda e il timone
nell'acqua non scava una traccia

(Eugenio Montale, Fuscello teso dal muro - Altri versi, Id., p. 49-50). 


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12. NON CHIEDERCI
Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l'animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.
Ah l'uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l'ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro! 

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.  
.

(Eugenio Montale, Ossi di Seppia - Non chiederci..., Id., p. 53-4). 
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Pegli. 29 luglio 2011. Occhi. Lago di Nuvole. 06.


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13.  CLIVO
Viene un suono di buccine    
dal greppo che scoscende,
discende verso il mare
che tremola e si fende per accoglierlo.
Cala nella ventosa gola
con l'ombre la parola
che la terra dissolve sui frangenti;
si dismemora il mondo e può rinascere.
Con le barche dell'alba
spiega la luce le sue grandi vele
e trova stanza in cuore la speranza.
Ma ora lungi è il mattino,
sfugge il chiarore e s'aduna
sovra eminenze e frondi,
e tutto è più raccolto e più vicino
come visto a traverso di una cruna;
ora è certa la fine,
e s'anche il vento tace
senti la lima che sega
assidua la catena che ci lega.

Come una musicale frana
divalla il suono, s'allontana.
Con questo si disperdono le accolte
voci dalle volute
aride dei crepacci;
il gemito delle pendìe,
là tra le viti che i lacci
delle radici stringono.
Il clivo non ha più vie,
le mani s'afferrano ai rami
dei pini nani; poi trema
e scema il bagliore del giorno;
e un ordine discende che districa
dai confini
le cose che non chiedono
ormai che di durare, di persistere
contente dell'infinita fatica;
un crollo di pietrame che dal cielo
s'inabissa alle prode...

Nella sera distesa appena, s'ode
un ululo di corni, uno sfacelo.

(Eugenio Montale, Meriggi e Ombre - Clivo, Id., p. 127-8). 
Pegli. 29 luglio 2011. Occhi. Lago di Nuvole. 07.


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14.  FINE DELL'INFANZIA
Rombando s'ingolfava    
dentro l'arcuata ripa
un mare pulsante, sbarrato da solchi,
cresputo e fioccoso di spume.
Di contro alla foce
d'un torrente che straboccava
il flutto ingialliva.
Giravano al largo i grovigli dell'alighe
e tronchi d'alberi alla deriva.

Nella conca ospitale
della spiaggia
non erano che poche case
di annosi mattoni, scarlatte,
e scarse capellature
di tamerici pallide
più d'ora in ora; stente creature
perdute in un orrore di visioni.
Non era lieve guardarle
per chi leggeva in quelle
apparenze malfide
la musica dell'anima inquieta
che non si decide.

Pure colline chiudevano d'intorno
marina e case; ulivi le vestivano
qua e là disseminati come greggi,
o tenui come il fumo di un casale
che veleggi
la faccia candente del cielo.
Tra macchie di vigneti e di pinete,
petraie si scorgevano
calve e gibbosi dorsi
di collinette: un uomo
che là passasse ritto s'un muletto
nell'azzurro lavato era stampato
per sempre - e nel ricordo.

Poco s'andava oltre i crinali prossimi
di quei monti; varcarli pur non osa
la memoria stancata.
So che strade correvano su fossi
incassati, tra garbugli di spini;
mettevano a radure, poi tra botri,
e ancora dilungavano
verso recessi madidi di muffe,
d'ombre coperti e di silenzi.
Uno ne penso ancora con meraviglia
dove ogni umano impulso
appare seppellito
in aura millenaria.
Rara diroccia qualche bava d'aria
sino a quell'orlo di mondo che ne strabilia.

Ma dalle vie del monte si tornava.
Riuscivano queste a un'instabile
vicenda d'ignoti aspetti
ma il ritmo che li governa ci sfuggiva.
Ogni attimo bruciava
negl'istanti futuri senza tracce.
Vivere era ventura troppo nuova
ora per ora, e ne batteva il cuore.
Norma non v'era,
solco fisso, confronto,
a sceverare gioia da tristezza.
Ma riaddotti dai viottoli
alla casa sul mare, al chiuso asilo
della nostra stupita fanciullezza,
rapido rispondeva
a ogni moto dell'anima un consenso
esterno, si vestivano di nomi
le cose, il nostro mondo aveva un centro.

Eravamo nell'età verginale
in cui le nubi non sono cifre o sigle
ma le belle sorelle che si guardano viaggiare.
D'altra semenza uscita
d'altra linfa nutrita
che non la nostra, debole, pareva la natura.
In lei l'asilo, in lei
l'estatico affisare; ella il portento
cui non sognava, o a pena, di raggiungere
l'anima nostra confusa.
Eravamo nell'età illusa.

Volarono anni corti come giorni,
sommerse ogni certezza un mare florido
e vorace che dava ormai l'aspetto
dubbioso dei tremanti tamarischi.
Un'alba dové sorgere che un rigo
di luce su la soglia
forbita ci annunziava come un'acqua;
e noi certo corremmo
ad aprire la porta
stridula sulla ghiaia del giardino.
L'inganno ci fu palese.
Pesanti nubi sul torbato mare
che ci bolliva in faccia, tosto apparvero.
Era in aria l'attesa
di un procelloso evento.
Strania anch'essa la plaga
dell'infanzia che esplora
un segnato cortile come un mondo!
Giungeva anche per noi l'ora che indaga.
La fanciullezza era morta in un giro a tondo.

Ah il giuoco dei cannibali nel canneto,
i mustacchi di palma, la raccolta
deliziosa dei bossoli sparati!
Volava la bella età come i barchetti sul filo
del mare a vele colme.
Certo guardammo muti nell'attesa
del minuto violento;
poi nella finta calma
sopra l'acque scavate
dové mettersi un vento.

(Eugenio Montale, Meriggi e Ombre, I, Fine dell'Infanzia, Id., pp. 105-9). 
Pegli. 29 luglio 2011. Occhi. Lago di Nuvole. 08.



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10. SCIROCCO
O rabido ventare di scirocco    
che l'arsiccio terreno gialloverde
bruci;
e su nel cielo pieno
di smorte luci
trapassa qualche biocco
di nuvola, e si perde.
Ore perplesse, brividi
d'una vita che fugge
come acqua tra le dita;
inafferrati eventi,
luci - ombre, commovimenti
delle cose malferme della terra;
oh alide ali dell'aria
ora son io
l'agave che s'abbarbica al crepaccio
dello scoglio
e sfugge al mare da le braccia d'alghe
che spalanca ampie gole e abbranca rocce;
e nel fermento
d'ogni essenza, coi miei racchiusi bocci
che non sanno più esplodere oggi sento
la mia immobilità come un tormento. 

(Eugenio Montale, Meriggi e Ombre. I. Agave su lo Scoglio - Scirocco, Id., pp. 113-4). 
Pegli. 29 luglio 2011. Occhi. Lago di Nuvole. 09.
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10. TRAMONTANA
Ed ora sono spariti i circoli d'ansia    
che discorrevano il lago del cuore
e quel friggere vasto della materia
che discolora e muore.
Oggi una volontà di ferro spazza l'aria,
divelle gli arbusti, strapazza i palmizi
e nel mare compresso scava
grandi solchi crestati di bava.
Ogni forma, si squassa nel subbuglio
degli elementi; è un urlo solo, un muglio
di scerpate esistenze: tutto schianta
l'ora che passa: viaggiano la cupola del cielo
non sai se foglie o uccelli - e non son più.
E tu che tutta ti scrolli fra i tonfi
dei venti disfrenati
e stringi a te i bracci gonfi
di fiori non ancora nati;
come senti nemici
gli spiriti che la convulsa terra
sorvolano a sciami,
mia vita sottile, e come ami
oggi le tue radici.

Pegli. 29 luglio 2011. Occhi. Lago di Nuvole. 10.
(Eugenio Montale, Meriggi e Ombre. I. Agave su lo Scoglio - Tramontana, Id., p. 115-6). 







Progetto Parzifal
Dolci Presenze del Viandante seguono l'Ombra in questo Silenzio popolato di Assenza.

Viaggiare. Dentro. Fuori.

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